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Chainfire, cessato il supporto a tutte le app legate al rooting

Chainfire, noto soprattutto per lo sviluppo di SuperSU, celebre tool per consentire l’accesso ai permessi di root su Android, ha annunciato la fine del suo supporto a ogni App o strumento legato al rooting.

Per “rooting” su Android, si intende il processo grazie al quale è possibile accedere e controllare alcuni sottosistemi del Sistema Operativo, cosa che non sarebbe mai possibile all’utente finale, se non tramite dei tool come SuperSU o Magisk.

Le funzioni che possiamo avere a disposizione tramite i permessi di root sono vari: dalla possibilità di disinstallare o “ibernare” app di sistema, a quella di installare varie Mod, ad esempio quelle Audio come Viper4Android o DolbyAtmos, che migliorano pesantemente la qualità in cuffia del nostro dispositivo. Non è finita qui, i più smanettoni hanno anche a disposizione delle App, installabili dal PlayStore, che permettono di controllare alcuni parametri del Kernel, come il clock massimo e minimo del processore, oppure la stessa gestione della suddivisione dei compiti della CPU, tramite i Governor.

Tornando a Chainfire, la notizia dell’abbandono di qualsiasi tipo di App legata al modding e, in generale, ad Android, non è stata un fulmine al ciel sereno. Infatti, lo sviluppatore aveva già abbandonato lo sviluppo della sua App 500 Firepaper, inoltre la sua più celebre creazione, SuperSU, è ormai di proprietà di un altro Team, Coding Code Mobile Technology, e Chainfire fungeva ormai solo da consulente.

Le motivazioni sull’abbandono definitivo di Chainfire si legano soprattutto alle scelte di Google stessa riguardo il panorama modding. Innumerevoli sono i cambiamenti che ha subito Android negli ultimi anni per fortificare le sue “barriere” virtuali dall’Hacking.

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Possiamo fare molti esempi di ciò, basti vedere la nascita del sistema Knox di Samsung, o il fatto che molti produttori rendano sempre più difficile, all’utente finale, la procedura di sblocco del Bootloader, fondamentale per poi poter installare una Recovery modificata, e i vari tool per i permessi di root.

L’utenza stessa crede che, ormai, non valga la pena fare determinate operazioni per moddare uno smartphone. Un tempo era necessario accedere a funzioni come quelle elencate prima, oppure cambiare ROM, per migliorare l’esperienza quotidiana dello smartphone; oggi, invece, i dispositivi in commercio, anche quelli di fascia bassa/media, permettono un’esperienza d’uso buona per gran parte delle esigenze. La stessa utenza è ormai scoraggiata dai limiti imposti dalle varie aziende, e preferisce non imbattersi in procedure complicate per avere accesso a funzioni che non modificano pesantemente l’usabilità quotidiana come un tempo. Le stesse Custom ROM ormai non danno quel boost prestazionale in più rispetto alle UI Stock dei produttori, seppur siano considerate utili per provare, ad esempio, un’esperienza “alla Google Pixel”.

Voi, invece, vi divertite ancora col modding, o non sentite la necessità di esso? L’uscita di scena di Chainfire è un’ulteriore prova della lenta “morte” del modding su Android?

 

Via: AndroidWorld

 

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